SONO UNA MAESTRA IN PENSIONE. AMO LA COMPAGNIA, LA MUSICA, MI PIACE SUONARE, VIAGGIARE, COMUNICARE INTERESSI, SENTIMENTI, VOGLIA DI VIVERE. MI PIACCIONO LE PERSONE CHE NON SONO AVARE IN QUESTO SCAMBIO.

domenica 24 giugno 2012

BUONE VACANZE



Ho proprio bisogno di un po' di relax!

Auguro a tutti una buona vacanza.

Per voi una  dolce poesia

La conchiglia

M'hanno portato una conchiglia.

Dentro le canta

un mare di mappa


Il cuore

mi si riempie d'acqua

con pesciolini

d'ombra e d'argento.

M'hanno portato una conchiglia.

Federico Garcia Lorca


A PRESTO

AGGIORNAMENTO DEL 2 AGOSTO 2012

VI HO PORTATO UNA CONCHIGLIA






sabato 23 giugno 2012

Fossoli


La terra trema e...  crolla una memoria storica


Questo Giorno e questa Ora rimarranno per sempre nella memoria di chi, in Emilia Romagna, nel 

mese di Maggio 2012, ha vissuto un  succedersi di terremoti di alte magnitudo. Tanti terremoti diversi

 che mai gli emiliani avrebbero pensato si verificassero in questa regione. Tanti terremoti, tante

 scosse di assestamento, che si ripetono ancora di giorno e di notte, la liquefazionene della terra del

 sottosuolo e la sua fuoriuscita in superficie, capannoni e case crollati, perdite di giovani vite umane, 

crolli e danni a costruzioni che in un territorio rappresentano la memoria storica, il passato, saranno i 

ricordi e i racconti nel futuro prossimo e nel futuro a venire delle nuove generazioni.

Tra tante memorie danneggiate il  campo di concentramento di Fossoli 


( un campo di polizia e di transito) vicino a Carpi (Modena) che

 ricorda una delle pagine più tristi della storia del Novecento. Il campo luogo di memoria e di

testimonianza, per quelle persone che hanno avuto un solo torto nella vita: nascere ebrei, ha rischiato

 di essere cancellato dal terremoto.

Nel TESTO IL LIBRO DELLA SHOAH ITALIANA


 tante testimonianze ci fanno conoscere questo luogo.

"Si può considerare Fossoli come l'anticamera dello sterminio. Ma era l'anticamera: qui c'era ancora

 vita, qui c'era l'amore, c'erano i dissidi, i canti, le lacrime. Eravamo ancora nella condizione umana ,

 non subumana. I nazisti non infierivano in questo campo. Quindi c'era paura, ma non c'era terrore, 

c'era la fame ma non c'era la morte per fame".[...]  Nedo Fiano


La Direttrice del centro Marzia Luppi ha dichiarato:

I muri che si sono staccati a Fossoli sono finiti a terra in molti casi quasi integri.

Gli esperti hanno dunque a disposizione tutto il materiale necessario per rimettere in sesto questo

 luogo. So che oggi ci sono cose importantissime da ricostruire, ma l’uomo non si ciba di solo

pane..Ricostruire i luoghi dell’identità non è un valore accessorio: significa ridare alla comunità

ferita

il senso di sé e della propria identità”..».



Primo Levi è stato in questo campo. 

Dalla sua esperienza nasce questa poesia

Il tramonto di Fossoli

Io so cosa vuol dire non tornare
A traverso il filo spinato
ho visto il sole scendere e morire;
ho sentito lacerarmi la carne
le parole del vecchio poeta:
"Possono i soli cadere e tornare:
a noi, quando la breve luce è spenta,
una notte infinita è da dormire"

Primo Levi
7 febbraio 1946
 




mercoledì 13 giugno 2012

Concerto a Villa Emma




LA MUSICA FA VOLARE

( SUGGESTIONI DA CHAGALL)


Maggio 2005


COPERTINA DEL PROGRAMMA DI SALA IDEATA DAI BAMBINI E MONTATA DALLA MAESTRA CHIARA


Concerto di musiche ebraiche a Villa Emma - 

8 Maggio 2005


" La musica è un linguaggio universale, una realtà che consente di comunicare, di gettare “ponti” verso gli altri ed, insieme, di esprimere se stessi, i diversi sentimenti e momenti della propria vita e della propria anima. Un linguaggio senza tempo, senza territori, né confini, è la voce di tutta l’umanità, di qualsiasi tempo e luogo"


Suonare con i bambini è stato sempre importante ed emozionante, la documentazione fa la nostra microstoria di una delle tante esperienze vissute insieme





La musica ebraica è una musica antichissima che, come tutte le musiche, dall'ambito liturgico si estende a tutte le espressioni musicali della vita. 


Attraverso la musica e la danza  i ragazzi  conoscono  e comunicano ai presenti al concerto, il significato e le caratteristiche di  alcune feste della cultura ebraica legate a Channukà, al Seder, ai matrimoni, allo Shaba.


In contemporanea, una mostra sull'educazione nella cultura ebraica illustrata dal grande Emanuele Luzzati è in esposizione nella sala delle colonne di Nonantola. Le scolaresche in visita ascoltano antiche fiabe ebraiche raccontate da Micol Bemporad










PROGRAMMA DEL CONCERTO


Ci hanno onorati con la loro presenza Il maestro di fisarmonica di Bologna David Sarnelli, la violinista Giuliana Vandelli, la musicista Silvia Takahashi, che ha diretto i bambini, preparate le armonizzazioni e collaborato con me nella realizzazione di tutto il programma, il musicista clarinettista e saxofonista Achille Succi,  grande musicista a livello internazionale. La generosità che queste persone hanno avuto nei miei riguardi non la dimenticherò mai. Grazie ancora per esserci stati La Madame


I piccoli musicisti  si sono comportati in maniera esemplare: attenti , responsabili e preparati.




 
I ragazzi diretti da Silvia  Takahashi cantano Evenu Shalom,che apre il nostro concerto.


Mariella e Giuliana eseguono Shalom Alechem un canto che è uno speciale augurio di pace nel giorno del sabato 

Musica klezmer



Con David Sarnelli, insegnante di fisarmonica, Mariella e Giuliana eseguono pezzi che si richiamano alla tradizione della musica  ebraica

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La musica klezmer è musica strumentale nata con funzione di accompagnare eventi della vita della comunità da cui proviene. Questa musica era legata alla vita ebraica ed al popolo dell'ebraismo post europeo e veniva eseguita in occasione di nascite, circoncisioni, matrimoni, feste e riti. Come dice Moni Ovadia: " E' proprio in virtù della natura itinerante del popolo ebraico che la musica klezmer è entrata in contatto, influenzando e venendo influenzata dalle tradizioni musicali e flocloristiche dei diversi paesi che ospitavano le comunità: di volta in volta rumene, polacche, ungheresi, greche. (...)


Il popolo che ha generato il klezmer ha vissuto un destino unico, è stato sradicato dalla terra d'europa, è stato annientato e bruciato nel silenzio. Questo mondo e i suoi segni ci parlano di un infinito dolore e pure riescono a trasmetterci vita e gioia nel loro essere sospesi tra cielo e terra, fra il divino e la sua assenza."




Shabbat Schalom è un pezzo strumentale e cantato nel quale si ricorda lo Shabbat ossia il Sabato. L'ebreo consacra questo giorno dedicandolo al Signore e al riposo.



LA DANZA

La tradizione ebraica, fin dalle sue origini, ha sempre compreso l'uomo unitariamente, senza separare la sua dimensione corporea da quella spirituale.

DAL SALMO 149

Lodate Dio con la danza.
Cantate al Signore un cantico nuovo
la sua lode nell'assemblea dei fedeli.
Lodino il suo nome con la danza:
col tamburello e con la cetra inneggino a lui.



Le bambine accompagnate ritmicamente dal battimani dei compagni eseguono la danza TZADIK KATAMER


La danza popolare ebraica esprime attraverso melodie, canti e coreografie prevalentemente circolari e comunitarie la spiritualità intensa, la vita e la cultura di questo popolo.
Non esiste festa a cui non siano collegate danze. 

Il testo di TZADIK KATAMER si richiama alla figura del giusto, dell'uomo pio, che diventa per i suoi discepoli e per il mondo fonte di santità.

Il testo recita:
Il giusto come palma fiorirà,
come cedro del Libano crescerà.
Trapiantati nella casa del signore,
fioriranno negli astri del nostro Dio.
(Salmo 92: 13-14)

e poi ancora Dayenu
Channukà 
..........
Tumbalalaika,
 un canto popolare, un canto per bambini, una famosa ninna nanna.
 
http://youtu.be/Zfil4kbGN5U

E DOPO IL CONCERTO....

tutti i bambini  hanno parlato e scritto della loro esperienza
































sabato 2 giugno 2012

 VORREI... VORREI... VORREI...



DA UN BAMBINO DI CREVALCORE



Vorrei che questo testo scritto da una maestra fosse letto da molte persone. Nel mio piccolo e come ex maestra lo condivido nel mio blog perchè in tanti possano riconoscersi nelle parole e nei sentimenti che questa maestra ci ha comunicato e che denotano tanta attenzione ed amore nei riguardi dei piccoli che vivono in questi giorni tanta paura e angoscia.

DISEGNI  DI UN ALUNNO DELLA MAESTRA BRUNELLA CALAFIORI




Perché vorrei andare a scuola lunedì

di Cristina Contri

02/06/2012


A Modena città, dove vivo, non abbiamo perso la casa, non abbiamo avuto gravi danni, la nostra angoscia è ridicola rispetto a quella di coloro che hanno visto crollare tutto, i ricordi di una vita e gli oggetti della quotidianità frantumarsi assieme a quei mattoni che per anni, per una vita intera, hanno rappresentato il confine che poteva proteggere dal fuori. Dentro casa ognuno si sente al sicuro. Basta pensare alla frasi che ripetiamo continuamente: casa dolce casa, che bello essere a casa, finalmente a casa, è bello andare in vacanza ma che bello ritornare a casa, a casa mia sto bene, ci ho messo i risparmi di una vita ecc. Ecco, la nostra angoscia è ridicola perché la casa c’è ancora, e c’è anche la casa vicina, e ci sono tutte le case della città, però il terremoto è entrato dentro la nostra quotidianità e ha scosso, insieme alle case, le nostre vite. Questa angoscia del terremoto è diversa da molte altre, perché il terremoto è angoscia di una comunità. All’alba del 20 maggio, dopo la prima forte scossa, in strada, ho conosciuto molte persone del mio palazzo e di quelli vicini, molte più di quante non ne avessi conosciute negli ultimi due anni. Verso le sei, dopo la seconda scossa di quella domenica mattina, un ragazzino è salito in casa ed è tornato giù in strada con una mezza torta, una crostata, e le persone non hanno esitato ad assaggiarne una fetta. Era l’alba, ma le strade del centro di Modena erano affollate come in pieno giorno, qualcuno era in pigiama, qualcuno vestito di tutto punto, e si mangiava, tutti assieme, un avanzo di crostata, qualcuno tentava di far ridere e qualcuno rideva. Erano le prime due scosse, il primo tremore, non sapevamo ancora che c’erano dei morti, e comunque tutti pensavamo che fosse finita lì. Quella mattina ho pensato che il terremoto è uno di quegli eventi che colpisce l’intera comunità, non i singoli, abbatte i confini tra il dentro e il fuori e alimenta il bisogno di restare tutti assieme.
Il giorno dopo, a scuola, i miei alunni, bambini e bambine di 10 anni, avevano ancora paura; la paura di avere visto i loro genitori avere paura, perché quando i grandi, gli adulti, gridano di terrore, i bambini si sentono invadere dall’impotenza. Più del terremoto li avevano spaventati le reazioni delle mamme e dei papà, dei vicini di casa. Quel lunedì mattina, a scuola, abbiamo parlato molto, ognuno ha raccontato come aveva passato l’alba della domenica, in strada e poi in macchina, qualcuno al parco, e piano piano, dopo due ore, ho visto che la paura si scioglieva e anche io stavo meglio. La forza dello stare assieme produceva un nuovo coraggio, e con questo coraggio nuovo siamo andati avanti per nove giorni. Ci sono state le scosse di terremoto, quelle più piccole, un giorno abbiamo evacuato la scuola dopo una scossa un po’più forte delle altre, ma tutti, grandi e bambini, convinti che si trattasse della fase di assestamento. Lentamente la vita tornava alla normalità e, pur vigili, pronti a scattare ad ogni piccola vibrazione, ogni rumore, siamo andati avanti convinti che fosse tutto passato. Poi il martedì mattina, il 29 maggio, di nuovo il terrore. Questa volta più nessuno aveva la forza di dirsi che era passato, nessuno aveva la forza di dire niente, solo sguardi terrorizzati; il 29 maggio abbiamo vissuto la potenza devastante dell’imprevedibile, nulla si poteva più dire. E quando mancano le parole, l’angoscia trova posto e si fa largo.
Sono passati tre giorni, stamattina sono andata a scuola, l’attività didattica è sospesa, le aule sono ancora come sono state lasciate martedì mattina, i quaderni e gli astucci aperti sui banchi, le lavagne traboccano di parole, o di operazioni. Manca ancora una settimana prima della fine ufficiale della scuola. Sono belli gli ultimi giorni di scuola, quando si fa il bilancio di quello che si è imparato, delle esperienze vissute durante l’anno, ci si saluta, c’è gioia nei bambini. La fine della scuola è un rituale che tutti, se andiamo indietro con la memoria, ricordiamo con piacere. In questo momento non sappiamo ancora se lunedì prossimo le scuole riapriranno, io però non riesco a mandare giù l’idea che un anno scolastico possa finire in questo modo. Non mi va proprio giù. Il terremoto ha costituito un evento che casualmente e improvvisamente è entrato nella nostra quotidianità e l’ha resa eccezionale, una situazione ci ha colpito, e riguarda noi, e noi, noi uomini intendo, abbiamo bisogno e voglia di conoscere e di capire quello che è successo, come è successo e perché, e abbiamo bisogno di raccontarci le storie di quello che abbiamo fatto, di come abbiamo reagito, di cosa abbiamo visto. Se anche le risposte non esistono, la voglia di conoscere rimane, così come resta il bisogno di raccontarci le nostre storie del terremoto. Conoscenza e narrazione, proprio quello che facciamo a scuola.
Mi sono venuti in mente tutti gli anni in cui con Andrea Canevaro e un gruppo di studenti universitari abbiamo fatto ricerca sulle situazione estreme, studiavamo quelle linee di resistenza che chi si trova in situazioni estreme mette in atto per andare avanti, le studiavamo perché pensavamo che quelle linee di resistenza, come le chiamavamo, potessero essere indicazioni utili sempre, anche nello scorrere normale della vita. Soprattutto mi sono ricordata di quella forma di resistenza che chiamavamo impegno nel quotidiano e nell’orizzonte della storia, e citavamo Korczak che nel ghetto di Varsavia, pochi giorni prima di morire, scriveva un articolo sull’importanza di rassettare la tavola dopo il pasto, e, negli stessi giorni, organizzava dei gruppi di studio sull’emancipazione femminile e su Napoleone Bonaparte. Ecco, l’attenzione alle piccole cose del quotidiano e l’apertura all’orizzonte della storia ci sembrava una linea di resistenza. Non voglio fare alcun paragone con quella situazione in cui si trovava Korczak, a Varsavia, con i suoi bambini, ma credo che si possa condividere l’idea che in qualunque momento è importante continuare ad impegnarsi nelle piccole cose, così come è importante continuare a studiare. Ho sentito persone in questi giorni dire frasi come: sì va bene la scuola, però prima ci sono altre cose a cui pensare! Come se fosse necessario fare una graduatoria, come se non si potessero tenere assieme tutte le cose importanti.
Ecco io vorrei tornare a scuola lunedì, vorrei incontrare i miei alunni e farli raccontare, vorrei dare loro i compiti delle vacanze, vorrei fare il gioco del “mi ricordo” per mettere in fila tutto quello che abbiamo fatto quest’anno, e poi vorrei dare loro un senso di normalità, perché la quotidianità rassicura. Lo so che nessuno di noi è tranquillo, lo so che avrò paura e sussulterò ad ogni vibrazione e ad ogni strano rumore, eppure io sono convinta che questo gesto di forza e di coraggio noi adulti lo dobbiamo ai piccoli, perché ci hanno visto avere paura e si sono spaventati, e allora dobbiamo comunicargli che anche se si è spaventati si continua a vivere, non ci si perde, si va avanti, si sta insieme, si parla e si impara. Perché se il terremoto è angoscia di una comunità, è nella comunità che l’angoscia deve essere elaborata.



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Una scuola nel parco.

pubblicata da Adriana Querzè il giorno martedì 5 giugno 2012 alle ore 8.35 ·

Domenica 3 giugno tutto era predisposto per la riapertura delle scuole, poi la scossa delle 9,20 ci ha costretti a rinunciare: nuovi controlli e, purtroppo questa volta, anche la conta dei danni al nostro patrimonio edilizio e  la realizzazione degli interveniti necessari.
Ho pensato a quanto i ragazzi perderanno,  soprattutto in termini di condivisione ed elaborazione di emozioni e sentimenti, di contatto con adulti capaci di  testimoniare la possibilità di convivere col dramma che ci ha colpito e di guardare avanti.
E allora ho pensato che mi piacerebbe vedere,  nei nostri parchi, studenti e insegnanti che "fanno scuola" nonstante tutto, che mettono tempo, parole, saperi e desiderio di stare insieme a disposizione anche di chi passa e magari si ferma incuriosito ad ascoltare.
Se qualche insegnate vorrà e potrà farlo lo dica in giro: anche questa è buona scuola.